Estratto da STRENNA DEI ROMANISTI, LXXI, 2010
Rinnovamento
di una cultura antica a Roma.
Sono oramai
passati cinque anni dall’elezione di Benedetto XVI e Roma lentamente ha
riscoperto il fascino degli stemmi papali. Infatti, prima del 2005, si potevano
ancora vedere sulle facciate di alcune chiese gli stemmi di Paolo VI, scomparso
da ben ventisette anni, corrosi dalle intemperie. Con il nuovo Pontefice è stato
un rifiorire dell’araldica ecclesiastica, il suo emblema, con i colori
accattivanti giallo e rosso, si può ammirare sugli edifici extra territoriali,
sulle ambasciate presso
“Di rosso,
cappato di oro, alla conchiglia del medesimo; la cappa destra, alla testa di
moro al naturale, coronata e collarinata del primo; la cappa sinistra, all’orso
naturale, lampassato e caricato di un fardello di rosso, cinghiato di nero”.
Nel creare
questo emblema Mons. Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, Nunzio Apostolico e
noto araldista, oggi Cardinale (24 marzo 2006), si è avvalso dei simboli
presenti nello scudo dell’allora Arcivescovo di Monaco e Frisinga (25 marzo
1977), poi Cardinale (27 giugno 1977), Joseph Ratzinger.
Il cappato è
lo scudo diviso in tre parti da due linee curve, che partendo dal centro della
superiore, terminano a metà di quelle laterali, formando così una sorta di cappa
o mantello che rammenta l’abito indossato da vari ordini religiosi, come il
Benedettino e il Domenicano. Fu usato da Benedetto XIII (Pietro Francesco
Orsini, 1724-1730) nella parte alta o “capo” del suo emblema.
La conchiglia
di S.Giacomo o capasanta, era raccolta dai Pellegrini nelle vicinanze del
santuario dell’Apostolo Giacomo il Maggiore, cucita sull’abito a testimonianza e
pubblica professione di fede. Questo segno distintivo esonerava i pellegrini,
nel viaggio di ritorno, dal pagamento dei vari pedaggi e di parte delle tasse al
loro rientro in patria. Questo simbolo fu voluto da Ratzinger, come riporta nel
suo libro autobiografico: “Essa mi ricorda la leggenda secondo cui Agostino, che
si lambiccava il cervello intorno al mistero della Trinità, avrebbe visto sulla
spiaggia un bambino che giocava con una conchiglia, con cui attingeva l’acqua
del mare e cercava di travasarla in una piccola buca. Gli sarebbe stato detto:
tanto poco questa buca può contenere l’acqua del mare, quanto poco la tua
ragione può afferrare il mistero di Dio. Per questo la conchiglia rappresenta
per me un richiamo al mio grande maestro”.
La testa di moro o “caput aetiopichum” o “moro di Frisinga” è l’antico simbolo
della diocesi Bavarese, ed è spesso usata nell’araldica tedesca. Per alcuni
studiosi raffigura Baldassarre, uno tre Re Magi, che sono sepolti, dal 1162
nella Cattedrale di S. Pietro a Colonia. Questa figura si distingue da quella
impiegata dall’araldica italiana che è bendata e non coronata, come nello stemma
di Pio VII (Gregorio Luigi Barnaba, 1800 1823). E’ menzionata dallo stesso
Benedetto XVI, nel suo libro autobiografico: “Per me sono l’espressione
dell’universalità della Chiesa che non conosce nessuna distinzione di razza e di
classe, poiché noi tutti siamo uno”.
L’orso con il fardello ricorda la leggenda di S. Corbiniano (680 ca. – 730),
primo vescovo di Frisinga, che recandosi a Roma fu assalito da un orso che gli
sbranò il cavallo. Ammansito dal Santo, caricato del suo bagaglio, lo seguì nel
suo viaggio. Benedetto XVI ricorda alla
fine del sopraccitato testo: “Intanto io ho portato il mio bagaglio a Roma e
ormai da diversi anni cammino con il mio carico per le strade della Città
Eterna”. La leggenda di San Corbiniano è simile a quella di S. Romualdo
(sec.IV), con l’unica differenza che quest’ultimo si avvalse dell’orso come
cavalcatura per raggiungere la città di Trento.
La timbratura ossia gli elementi esterni dello scudo sono: Le chiavi decussate,
disposte dietro di esso, la mitria sopra e il pallio sotto.
Le chiavi sistemate a croce di S. Andrea, una d’oro e l’altra d’argento, la
prima a destra la seconda a sinistra, con le impugnature verso il basso, legate
da un nastro rosso, i congegni a forma di croce, verso l’alto. Quella d’oro
allude al potere che si estende al regno dei Cieli, quella d’argento
all’autorità spirituale del papa sulla terra. Le chiavi, poste in questa
maniera, dal XIV secolo timbrano gli stemmi pontifici. Dal 1929 sono riportate
sullo stemma e bandiera della Città del Vaticano ma con gli smalti invertiti, a
sottolineare la differenza dello stemma della Chiesa da quello dello Stato
Papale. Raffigurate insieme alla tiara, sono il simbolo della Sede Apostolica,
con l’ombrellone basilicale sono l’emblema della Sede Vacante.
La mitria, d’argento con tre fasce d’oro (Ordine, Giurisdizione e Magistero),
collegate verticalmente fra loro al centro, per indicare la loro unità nella
stessa persona, ha occupato il posto della tiara. Agli inizi quest’ultimo
copricapo liturgico era di semplice stoffa bianca guarnita di una fascia dorata
che si trasformò in corona verso il X secolo. Bonifacio VIII nel 1301, ne
aggiunse una seconda e Benedetto XII nel 1342 una terza. La tiara o triregno
rappresentava le tre Chiese: trionfante, militante e purgante ovvero il potere
della Chiesa sul Cielo, terra e inferi. Veniva
usata, Paolo VI fu l’ultimo a riceverla, nella cerimonia solenne
dell’incoronazione dei pontefici: “Accipe thiarum tribus coronis ornatam, et scias te esse Patrem Principum
et Regum, Rectorem Orbis, in terra Vicarium Salvatoris Nostri Jesu Christi, cui
est honor et gloria in saecula saeculorum”.
Il triregno, simbolo della suprema autorità pontificia, è stato per
secoli il più insigne elemento esteriore dell’emblema papale. La sostituzione
del triregno con la mitria nello stemma papale ha un precedente: Giovanni Paolo
II, in occasione dell’inaugurazione della Casa di S. Marta, nel suo XVIII anno
di pontificato, aveva fatto porre il suo stemma marmoreo ornato da una semplice
mitria.
Il pallio è una striscia di candida lana tessuta in forma circolare, con due
appendici, che pendono sul petto e sul dorso, mentre il resto si posa sulle
spalle intorno al collo. Ornata da sei piccole croci nere o rosse, quattro sulla
fascia circolare, ed una sulle singole appendici, le quali sono tenute distese
da una piastrina di piombo cucita alle estremità. Ha sostituito l’intera pelle
dell’agnello che i pontefici, nei primi secoli, portavano a ricordo del Buon
Pastore. Segno di speciale giurisdizione, è privilegio del Papa che lo concede
agli Arcivescovi Metropoliti, al Patriarca di Gerusalemme dei Latini ed al
Cardinale titolare della chiesa suburbicaria di Ostia. Fino al maggio del 1978
veniva concesso anche a pochi Vescovi per l’importanza storica della loro sede.
Viene sepolto insieme alla persona che ne era investito. Molti prelati, in
particolar modo gli americani, lo fanno riprodurre all’interno della propria
insegna.
Oggi possiamo ammirare lo stemma di Benedetto XVI su quasi tutte le chiese:
Diaconie e Titoli Presbiterali,
purtroppo alcune ancora espongono quello del precedente papa, ad esempio: S.
Agnese in Agone. Altre sembrano non volere accettare la sostituzione del
triregno con la tiara: S. Lorenzo in Lucina e il SS.mo Nome di Maria al Foro
Traiano. Altre invece usano piccole varianti, date dall’incompetenza del
pittore: Nello stemma esposto sulla facciata di S. Antonio dei Portoghesi, è
raffigurato l’orso con una sella, al posto del fardello, ricordandoci così la
figura di S. Romedio e non di S. Corbiniano.
In altre vediamo lo scudo diviso in malo modo: S. Marco al Campidoglio.
Tutte queste piccole inesattezze si moltiplicano per gli scudi cardinalizi, che
affiancano quello papale. Per tutti basta citare quello del cardinale Antonelli,
esposto a S. Andrea delle Fratte, che mostra un numero ridotto di nappe (20
invece che 30) pendenti dal cappello cardinalizio o addirittura quello del
cardinale Dzwisz, raffigurato con il cappello verde da arcivescovo. Altri sono
stati disegnati contro le più elementari regole araldiche. Questo è spiegabile a
causa della soppressione della Commissione Araldica per
Giovanni Sicari