ARDINGHELLI Nicolò, Cardinale. (Moroni, 3, pp.12-13): Nicolò Ardinghelli nacque in Firenze nel 1502 da una delle più cospicue famiglie. Segnalossi in varii rami dello scibile umano, ed era bene istrutto nel diritto, nella poesia, nelle lingue italiana greca e latina. Ad acuto intendimento accoppiava memoria tenace, rara prudenza. I suoi meriti lo fecero annoverare tra gli accademici fiorentini, e protetto dal Cardinale Farnese, che poscia fu sublimato al Pontificato col nome di Paolo III, ebbe aperto il campo di addentrarsi vie meglio nelle scienze, e godere l’amicizia e familiarità de’ più dotti personaggi di quell’epoca. Paolo III gli affidò l’incarico di segretario del Cardinal Farnese suo nipote: poscia gli fu conferito un canonicato nella metropolitana di Firenze ed il vicariato della Marca. Dopo qualche tempo si vide l’Ardighelli innalzato alla sede vescovile di Fossombrone, locchè avvenne nel 1541, nel qual anno fu mandato dal Sommo Pontefice alla corte di Francesco I, in qualità di nunzio. Lo scopo della sua missione era quello di conciliare la pace fra esso e Carlo V, nonché di procurar la celebrazione del concilio generale. Accompagnò poscia in Francia ed in Ispagna, e giovò coll’opera sua e co’ suoi consigli, il Cardinale Farnese, il quale erasi recato presso quella corte insignito della dignità a latere. Ritornato in Roma fu onorato della carica di Datario da Paolo III, che inoltre a’ 19 dicembre 1544, lo creò prete Cardinale del titolo di s. Apollinare. Tanta era la sua perizia nel maneggiare gli affari più importanti e difficili, che, secondo il Segni, governava le faccende secrete di tutta la Chiesa, ed avea il maneggio dello Stato Pontificio. Ma erano appena passati tre anni dacchè era stato promosso alla porpora, quando una morte immatura troncò il filo de’ suoi giorni nel 1547, contando egli soltanto quarantacinque anni di vita. Fu sepolto nella chiesa di s. Maria sopra Minerva, ove leggesi un onorevole epitaffio sopra la sua tomba. Il Mazzuccelli ed altri fanno onorevole menzione di questo Cardinale, e ne’ loro scritti riferiscono alcuni monumenti del suo ingegno.

 

AREZZO Tommaso, Cardinale. (Moroni, 3, pp.18-19): Tommaso Arezzo, di nobilissima famiglia palermitana, feconda di uomini illustri per pietà e scienza, nacque a’ 17 dicembre 1756 in Orbetello, città della Toscana, nello stato sanese. Recatosi a Roma fece onorevolmente i suoi studi nel collegio nazareno, e quindi fu da Pio VI ammesso in prelatura, e fatto successivamente vice-legato di Bologna, governatore di Fermo, Perugia e Macerata, di cui divenne delegato per volere di Pio VII. Questi gli affidò varie missioni in tempi scabrosi, cioè presso le corti di Russia e di Dresda: e quando eravi in Berlino Napoleone, fu colà chiamato per affari. All’invasione, che nel 1808, fecero i francesi della capitale del cristianesimo, Pio VII lo nominò pro-governatore di Roma; ma no andò guari, che soggiacque alla sorte degli altri prelati, e fu deportato qual prigioniero in Bastia, donde, nel 1813, gli riuscì di recarsi presso Vittorio Emanuele re di Sardegna, che lo accolse con distinzione e lo consultò in gravi occorrenze. Lo si voleva vescovo di Novara; ma l’Arezzo ricusò di aderire come avea fatto al proposito della metropolitana di Palermo. Ricomposto l’ordine delle cose nel 1814, ritornato Pio VII alla sua Sede, nominò il nostro Tommaso pro-commissario del santo Offizio, e membro della Congregazione per la Riforma: Finalmente, dopo aver colla sua diligenza e zelo disimpegnata una commissione in Firenze, il detto Pontefice in premio de’ suoi rilevanti servigi, agli 8 marzo 1816, lo creò Cardinale prete del titolo di s. Pietro in Vincoli, e quindi legato apostolico di Ferrara, che governò paternamente, e saggiamente per ben quattordici anni. Nel 1820 passò al vescovato suburbicario di Sabina, e nel 1830, Pio VII lo promosse a vice-cancelliere di S. Chiesa, finchè vide terminar placidamente i suoi giorni a’ 3 febbraio 1833. Il regnante Pontefice per argomento di distinzione, volle decorare di sua presenza, le esequie che gli furono celebrate, nella sua chiesa commendataria di s. Lorenzo in Damaso, ove rimase sepolto. Divise la sua eredità, tra la congregazione di Propaganda, i suoi famigliari e i poveri del vescovato. Benemerito di Ferrara per l’istituzione dell’accademia degli Ariostei, cooperò eziandio al ristabilimento del collegio de’ gesuiti, già fondato da s. Ignazio in tal città. I fasti della Chiesa, ricorderanno le virtù e i pregi di sì degno Porporato, il quale intervenne a tre conclavi, dove furono eletti Leone XII, Pio VIII e Gregorio XVI.

 

ARGENTINO Francesco, Cardinale. (Moroni, 3, pp.19-20): Francesco Argentino trasse i natali in Venezia verso l’anno 1450, da un povero alemanno della città di Argentina, il quale avea preso a moglie una veneziana. Giovanni Mocenigo, che poscia fu doge, si diede pensiero di procurargli una buona educazione. Riconoscendo in questo giovanetto un talento non ordinario, e grande bramosia di erudirsi, lo mandò a Padova affinchè vi apprendesse il diritto. Questi poiché ebbe compito il corso del medesimo, ne ottenne la laurea, e poscia fece ritorno a Venezia, ove esercitò l’ufficio di avvocato. In quel tempo il Cardinale Giovanni de’ Medici era esule in questa città. L’Argentino così seppe cattivarsi la benevolenza di lui, che ottenne un posto di canonico nella chiesa di san Marco, o, secondo altri, nella cattedrale di Padova. In seguito recossi a Roma, ove conseguì di essere annoverato tra i famigliari del Cardinale della Rovere, il quale assunto fu poscia al Pontificato col nome di Giulio II. Questi fece l’Argentino vescovo di Concordia nel 1507, e poscia gi conferì la carica di Datario, e finalmente la dignità Cardinalizia col titolo di s. Clemente, a’ 22 marzo 1511. Ma poco godette di questo onore, imperocchè dopo cinque mesi terminò di vivere in Roma nello stesso anno 1511 in età di anni sessantuno. Ebbe la tomba nella cattedrale di Concordia. E’ autore di varie opere, tra le quali è noto un trattato sopra l’immunità ecclesiastica, che non fu mai stampato.

 

ARGENVILLIERES Clemente, Cardinale. (Moroni, 3, p.21): Nacque in Roma, nell’anno 1687, da poveri genitori. Cresciuto negli anni, applicossi con molto impegno allo studio, ed a quello soprattutto delle leggi, delle quali essendo egli peritissimo, diede a difendere in qualità di avvocato le cause della Curia Romana, e meritò di essere ammesso nel numero degli avvocati concistoriali da Clemente XII. Benedetto XIV, che successe a quel Pontefice, nel conclave in cui restò eletto lo condusse seco per conclavista, indi conferì all’Argenvillieres un posto di canonico nella basilica lateranense, e poscia lo dichiarò suo uditore, e gli affidò altri uffizii, che avendo egli disimpegnato con molta perizia, gli meritarono di essere promosso dallo stesso Papa alla dignità di prete Cardinale del titolo della Ss. Trinità nel Monte Pincio, promozione ch’ebbe effetto il dì 26 novembre 1753. Fu eziandio confermato nell’antica sua carica col nome di prouditore, e quindi fatto prefetto della Congregazione del concilio, e protettore dell’Ordine dei minimi. Quantunque si vedesse innalzato a tanta grandezza, non ne insuperbì punto; anzi quanto più vedeasi onorato, tanto più studiavasi di essere affabile, modesto e pronto a soccorrere que’ tutti, che ad esso lui ricorrevano. Dopo avere impiegata la sua vita nel servigio della Chiesa, morì nel 1758, in età di anni settantauno, di cui cinque ne visse nel Cardinalato. Fu sepolto nella chiesa del suo titolo nella cappella di s. Francesco di Paola, con un breve e semplice epitaffio, che egli stesso avea composto, a cui altro se ne aggiunse molto elegante.

 

ARIAS (de)  Emanuello Y PORRES, Cardinale. (Moroni, 3, pp.25-26): Emanuello Arias nacque in Alexos castello della diocesi di Vagliadolid nella Vecchia Castiglia nell’anno 1637. Si rese celebre non tanto per nobiltà di lignaggio, quanto pel suo amore allo studio. Profittò, a modo, che ancor giovanetto diede alla luce parecchi componimenti poetici, ed altri riguardanti le matematiche. Nel 1652 fu obbligato da suo padre a recarsi in Malta come cavaliere di quell’Ordine. Raffaello Cotonero, per mostrare ad Arias la propria gratitudine, perché si era adoperato affinchè fosse proclamato Gran Maestro, gli conferì nel 1662 la carica di vicecancelliere di tutto l’Ordine. In seguito il Gran Maestro Nicolò Cotonero, fratello del precedente, gli conferì nel 1668 la ricca prebenda di Benavente, sei anni dopo quella del Viso, e da ultimo nel 1676 l’altra di Tevenes. Anche il Gran Maestro Gregorio Caraffa, ch’ebbe quella dignità per opera di Arias, gli diede la commenda di Guiroga, e gli ottenne da Innocenzo XI la dignità di Gran Baly della religione. Provveduto di copiose rendite ecclesiastiche, rinunziò al suo posto di cancelliere, per ritornare in patria. Carlo II di Madrid voleva mandarlo ambasciatore alla corte di Portogallo nell’anno 1690, ma ne lo dispensò allorchè intese che bramava di essere sollevato di quella carica, meditando di ascriversi all’ecclesiastica milizia. In età di anni cinquantatre abbracciò lo stato ecclesiastico. Nel 1692 venne eletto granpriore e luogotenente del granpriorato di Castiglia, oratore di tutto l’ordine Gerosolimitano presso il re cattolico, e governatore del regio e supremo consiglio di Castiglia. Dopo aver per due anni disimpegnato gli obblighi di questo impiego domandò di esserne sollevato, ed ottenutone il permesso, nella sua commenda del Viso, ch’era posta poco lungi da Madrid. Ma sollevatosi in questa città il popolo a motivo della carestia del pane e vettovaglia, nel 1699, il re scrisse due lettere ad Arias onde si portasse a sedare il tumulto. Il re lo obbligò a ripigliare l’antica sua carica. Dopo la morte di Carlo II egli si adoperò perché gli succedesse Filippo V nella monarchia di Spagna. Questo nuovo monarche lo elesse a proprio consigliere di stato, e nel 1702 lo nominò arcivescovo di Siviglia. Caldo di zelo pel bene della sua diocesi, ne fece più volte la visita, ed invitò uomini ragguardevoli per dottrina e santità, i quali cooperassero seco lui nell’esercizio del pastoral ministero. Le sue esimie virtù gli procacciarono l’amore de’ diocesani, che ammiravano in lui la più amorosa pietà, la carità più luminosa verso i poveri, e lo zelo più efficace di fondare o ristaurare chiesa, seminarii, spedali ed altri luohi pii. Mosso da virtù, e dai servigi prestati alla Chiesa ed allo stato, il re cattolico fece istanza perché gli fosse conferita la dignità Cardinalizia. Il Sommo Pontefice Clemente XI vi annuì, e ai 18 gennaio 1713 lo creò prete Cardinale; ma non essendosi recato a Roma, non ebbe né cappello, né titolo cardinalizio. Quattro anni dopo la sua elezione egli fu colto dalla morte, che avvenne nel 1717. Ebbe tomba nella metropolitana di Siviglia nella cappella del Ss. Sacramento. Fece erede di sue facoltà la collegiata di Xeres, e lasciò altri legati a beneficio de’ poveri.

 

ARIGONI Pompeo, Cardinale. (Moroni, 3, pp.27-28): Pompeo Arigoni creduto è a alcuni milanese, da altri comasco. Tutti convengono nell’asserire che a caso traesse i natali in Roma l’anno 1541 da illustre lignaggio. Cominciò il corso dei sui studi in Perugia, lo proseguì in Bologna, e lo perfezionò in Padova, ove ottenne la laurea in ambo le leggi. Reduce in patria, si rese celebre per la sua perizia, nella facoltà legale, e non andò guari che il Papa Gregorio XIII lo ammise tra gli avvocati concistoriali, e dopo parecchi anni Gregorio XIV lo ascrisse tra gli uditori di Rota. Quindi, a’ 5 giugno 1596, fu da Clemente VIII creato diacono Cardinale di s. Maria in Aquiro, e, nel 1597, ebbe il titolo presbiterale di santa Balbina. Inoltre fu annoverato tra i membri delle Congregazioni del Concilio, del santo Offizio, de’ vescovi e regolari, e fu eletto protettore degli osservanti e dei canonici regolari del Ss. Salvatore. Nel 1604 per ordine di Clemente VIII presiedette al capitolo tenuto in Roma dai padri teatini per l’elezione del nuovo generale, ed in questa circostanza diede a conoscere quanto fosse profonda la sua umiltà, volendo occupare uno degli ultimi posti. Nell’anno appresso Leone XI lo scelse a suo datario, nella qual carica venne confermato da Paolo V. Questo Pontefice dopo due anni lo elesse arcivescovo di Benevento. Entrato in possesso della sua sede, l’Arigoni fondò, o, per meglio dire, impartì al collegio dei gesuiti di quella città tanti benefizii, che gli meritarono il nome di fondatore. Ristaurò con molta magnificenza la sua cattedrale , e l’arricchì di preziose suppelletili e di sacri arredi. Riedificò dalle fondamenta il palazzo arcivescovile, che minacciava rovina, e lo ingrandì, e rese più bella la sua chiesa titolare di s. Balbina. Eresse uno spedale, di cui affidò il governo ai frati di s. Giovanni di Dio. A questi assegnò la chiesa e il monistero di s. Adeodato, che dotò colle rendite di s. Spirito, di s. Maria de’ martiri e di s. Bartolommeo, le entrate del quale volle che restassero per l’ospitalità dei pellegrini e per le spese di que’ religiosi. Contribuì eziandio all’abbellimento della chiesa di s. Maria della Consolazione. Ma cominciando la sua salute ad infievolirsi ed a soffrire di debolezza di testa, che non gli lasciava sempre libero l’uso della ragione, egli recossi in un’amena villa alla Torre del Greco presso Napoli, affine di respirare un’aria più salubre. Non andò per altro guari di tempo, che venne colto dalla morte nel 1616, contando egli l’età di settantacinque anni non compiti, e venti di Cardinalato. Il suo cadavere venne trasferito a Benevento, e sepolto nella metropolitana, ove sorge un avello di marmo con grande epitafio, che ricorda le sue principali geste. A questo Cardinale vengono attribuite parecchie opere, le quali sono annoverate dal Mazzucchelli, dall’Argelati e da altri scrittori.

 

ARMAGNAC Giorgio (d’), Cardinale. (Moroni, 3, pp.35-36): Giorgio d’Armagnac nacque nella Guascogna, nel 1500, da prosapia imparentata colla famiglia di Francia. Il Cardinal Francesco d’Amboise suo affine, e Carlo duca di Alençon suo zio, si assunsero l’incarico di dargli una educazione conveniente alla sua nascita. Giorgio trasse molto profitto da’ suoi studii, e, persuaso che la scienza disgiunta dalla pietà ad altro non serve, che a pascersi di vanagloria, diedisi con tutto l’impegno all’acquisto della virtù. Per la qual cosa Francesco I re dei francesi gli affidò cariche importanti nella sua corte, e poscia Papa Clemente VII gli conferì la chiesa di Rodez ad istanza del detto monarca. Il novello prelato stabilì in quella città i gesuiti, e ad essi affidò la pubblica educazione. Lo stesso fece in Tolosa, ove fabbricò a questi religiosi un magnifico collegio. Nel 1536 ottenne dal Sommo Pontefice Paolo III l’amministrazione della diocesi di Vabres; e Giovanni Maan asserisce, che, destinato da Paolo III ad occupare la sede arcivescovile di Tours, ne ritenne il governo per tre anni, senza averla giammai veduta. In seguito il re cristianissimo lo inviò ambasciatore al senato veneto ed alla corte di Roma, ove dal predetto Paolo III a’ 19 dicembre 1544, ottenne la dignità di prete Cardinale del titolo de’ santi Giovanni e Paolo. In seguito Paolo IV, nel 1555, gli affidò la chiesa di Lesear, e trasferito da Pio IV all’arcivescovato di Tolosa, Enrico II lo dichiarò suo intimo consigliere e governatore di tutta l’Occitania. Esercitò questa carica con tanta saggezza e bontà, che meritossi il nome di ottimo principe, nonché di mecenate de’ letterati. Fu presente al colloquio di Poissy, ove difese con molto calore la cattolica fede. Adoperossi e con le parole e con gli scritti per ricondurre al centro di unità Lodovico di Borbone principe di Condè ed altri illustri personaggi infetti di eresia. Ebbe il conforto di vedere incoronate di prospero successo le sue fatiche, affine di mantenere ubbidiente alla santa Sede la contea di Avignone, alla quale presiedette in luogo di Carlo di Borbone. Inoltre servendosi di alcune truppe inviategli da s. Pio V, occupò parecchie terre degli eretici, le restituì al dominio della Chiesa romana sotto la giurisdizione di Avignone. Di questa chiesa egli assunse il governo nel 1577, dopo avere rinunziata quella di Tolosa. Nel corso degli otto anni, in cui tenne la sede di Avignone, occupossi di varie opere che resero celebre il suo nome. Fondò un monastero di religiosi minimi, accrebbe quello dei celestini, stabilì il tribunale della Ruota, celebrò nel 1579 un concilio provinciale, e colmò quella città d’altri considerevoli benefizii. Finalmente nel 1585, compì la sua mortale carriera, compianto da tutti. Questo illustre personaggio, che sostenne l’onore del Cardinalato per anni quarantuno, ed era intervenuto ai comizi di Giulio III, Marcello II e Paolo IV, ebbe ad essere seppellito nella chiesa di santa Maria de’ Doni in Avignone.

 

ARMELLINI MEDICI Francesco, Cardinale. (Moroni, 3, pp.36-37): Francesco Armellini secondo alcuni, nacque in Perugia nel 1469. Secondo altri, in Fossato luogo della diocesi di Nocera. Evvi ancora chi assicura che il suo cognome fosse Pantalassi, chiamandosi così il suo genitore, il quale lasciò questo per assumere quello dello zio materno. Giulio II gli conferì la carica di suo segretario, e del sacro Collegio. Dopo la morte di questo Pontefice, Leone X che gli successe, adottò l’Armellini nella propria famiglia, lo ascrisse tra i pronotari apostolici, poscia lo fece chierico di Camera e finalmente segretario apostolico. Avendo disimpegnato con molta diligenza e perizia questi importantissimi uffizii, dal detto Pontefice, nella celebre promozione di trent’un porporati il primo luglio 1517, fu creato prete Cardinale del titolo di s. Marco, e, secondo altri, di s. Calisto. Fu inoltre insignito del carattere di legato dell’Umbria, della Marca e della Francia, ed eletto amministratore delle chiese di Oppido e Gerace, come pure di Camirlingo della santa Chiesa romana. Dopo qualche tempo Clemente VII lo innalzò alla carica di provicecancelliere, e nel 1524, lo elesse arcivescovo di Taranto. Ma nel 1527, essendo stata saccheggiata la città di Roma, egli soggiacque alla perdita dei suoi beni, e siccome tacciato di attaccamento al denaro, fu criticato dal Cardinal Pompeo Colonna in pieno concistoro. In quell’anno medesimo, afflitto per la sua perdita, terminò la carriera mortale nel castello di san Angelo, ove avea cercato un rifugio. La sua spoglia fu sepolta nella chiesa di s. Maria in Trastevere, ove sorge alla sua memoria un sontuoso mausoleo. Trovossi presente ai comizii di Adriano VI, e Clemente VII, il quale co’ duecento mila scudi che il defunto possedeva fuori di Roma, si servì pel suo riscatto, e pei bisogni della Chiesa.

 

ARMET o BROGNIER Giovanni, Cardinale. (Moroni, 3, p.37): V. BROGNIER.

 

ARNOLDI o ARNAUD o ARNAULT Pietro, Cardinale. (Moroni, 3, p.41): Arnoldo, che altri chiamano Raynaldi o Arnaldi, nacque nel Bearne in Guascogna verso la metà del secolo decimoterzo. L’amore che avea per la solitudine, ed il desiderio di consacrarsi al servigio di Dio, lo indussero ad ascriversi tra i religiosi di s. Benedetto nel monistero di san Severo, diocesi di Aire. In seguito fu eletto abbate del monastero di s. Croce di Bourdeaux, e ne sostenne con molta lode l’incarico. Venne anco da Clemente V fatto cappellano Pontificio e vicecancelliere della Santa Romana Chiesa, ed a’ 15 dicembre 1305, lo stesso Pontefice lo creò prete Cardinale del titolo di s. Stefano di Montecelio, ovvero di s. Prisca. Ma pochi mesi dopo la sua promozione terminò di vivere in Avignone nel 1306.

 

ARREBLAJO (d’) Pietro, Cardinale. (Moroni, 3, pp.44-45): Arreblajo, detto comunemente Arreblay era vice-cancelliere di Francia, canonico di s. Quintino nei Viromandi ed arcidiacono Borbonese nella chiesa di Autun. Papa Giovanni XXII, il dì 17 decembre 1316, ad istanza di Filippo re di Francia, gli conferì la dignità di prete Cardinale col titolo di s. Susanna. Lo stesso Pontefice gli comandò poscia di esporre il suo parere intorno alle dottrine di fra Michele da Cesena. Obbedì l’Arreblajo, e condannò con uno scritto le tesi del medesimo. In seguito fu scelto dallo stesso Pontefice a decidere una controversia insorta nel capitolo di Chieti per la elezione di quel vescovo. Terminò la sua mortale carriera nell’anno 1329.

 

ASSIA Federico, Cardinale. (Moroni, 3, p.71): Federico landgravio d’Assia, de’ principi Darmstadt, abiurata l’eresia in cui era stato educato, professò nella religione gerosolimitana di Malta, di cui nella Germania ottenne il supremo magistero, insieme colla prefettura delle galere di Malta, col valore delle quali e con savia sua direzione, trionfò sopra i legni degl’infedeli, e ne riportò molte e segnalate vittorie. Dopo di che intraprese un viaggio per l’Italia, Spagna e Alemagna, in cui fu accolto, e trattato con pari splendidezza e magnificenza da’ principi, e signori d’ogni città e provincia. Filippo IV re di Spagna lo nominò ammiraglio della flotta di Oriente, e delle galere di Spagna, ed affidogli la prefettura della Sardegna. Finalmente, Federico ben meritando della fede cristiana per la disfatta de’ turchi, e della Chiesa cattolica per la detestazione dell’eresia, il Papa Innocenzo X, ad istanza di Cesare Ferdinando III, lo ascrisse al sacro Collegio, a’ 19 febbraio 1652, colla diaconia di s. Maria Nuova. Inoltre gli diede il vescovato di Uratislavia o Breslavia, nonché la protettoria del sacro romano impero, dell’inclita nazione Alemanna, e de’ regno di Sardegna e Sicilia presso la Sede Apostolica. Deputato da Alessandro VII, in tempo del micidial contagio, ad invigilare alla sanità del popolo romano, espose a repentaglio la propria vita per salvare l’altrui, visitando ogni giorno di persona i rioni della città, e insieme gl’infetti dal pestilenzial morbo, e singolarmente i poveri, cui sovveniva con medicine e limosine. Perciò ei divenne la delizia e l’amore di Roma. Lo stesso Alessandro VII, insieme col Cardinal Carlo dei Medici, lo prescelse ad incontrare, accompagnato da una nobilissima compagnia, la celebre Cristina regina di Svezia, cugina del Cardinale, che recavasi alla capitale del mondo cattolico, dopo aver rinunziato il regno, abiurato il luteranismo; sul qual trono poi nel 1718, ascese Federico sovrano di Assia Cassel, come sposo di Ulrica Eleonora erede della corona. In Roma sostenne il carattere di ambasciatore imperiale per Leopoldo I, nella quale occasione rimase imbarazzato nelle controversie, che si eccitarono col Cardinal Altieri, e gli ambasciatori de’ monarchi, sotto il Pontificato di Clemente X. Quantunque, come altrove accennammo, fosse a dovizia provveduto di sostanze e di ricchezze, ciò non pertanto le generose sue carità, e la compassione verso i miserabili, lo rendettero mai sempre indigente. Trovossi a’ conclavi di Alessandro VII, di Clemente IX, di Clemente X e d’Innocenzo XI. La sua morte accaduta in Breslavia nel 1682, contando egli sessantasei anni, riscosse il tributo delle più sincere lagrime. Il cadavere di lui trovò riposo in quella cattedrale nella cappella di s. Elisabetta, ch’egli con ecclesiastica munificenza costrusse, e lasciò erede dei suoi beni e delle sue suppellettili.

 

ASTALLI (degli) Astaldo, Cardinale. (Moroni, 3, p.83): Astaldo degli Astalli era romano di nascita. Celestino II, nel dì delle ceneri dell’anno 1144, lo promosse alla dignità di diacono Cardinale di s. Eustachio, e poscia prete del titolo di s. Prisca. Intervenne ai comizii di Lucio II, Eugenio III, Anastasio IV ed Adriano III. Sotto il Pontificato di quest’ultimo, compì l’Astalli i suoi giorni, dopo tre lustri dacchè era stato fregiato della porpora. Nei tempi calamitosi dello scisma egli restò fedele al legittimo capo della Chiesa di Cristo.

 

ASTALLI Camillo, Cardinale. (Moroni, 3, p.83): Camillo Astalli trasse origine da una ragguardevole ed antica famiglia romana., nel 1616, e, secondo altri nel 1619. Avendo compiuto con molta lode il corso delle lettere amene e delle scienze, fu annoverato tra gli avvocato concistoriali, ed in appresso tra i chierici di Camera colla presidenza delle carceri. Poscia Innocenzo X per una straordinaria predilezione, e col consiglio del Cardinal Panciroli, a’ 19 settembre 1650, lo creò prete Cardinale del titolo di s. Pietro in Montorio. Dopo essere stato adottato nella famiglia Panfili, col cognome, collo stemma, col grado, colle onorificenze e rendite di nipote dello stesso Pontefice, venne fatto membro di tutte le congregazioni di Roma, gli fu affidato il governo della città di Fermo, la legazione di Avignone, e venne eletto a protettore dei minori conventuali. Ma non andò molto tempo, che l’Astalli, si vide fatto il bersaglio dell’invidia più accanita. Privato degli onori e di quasi tutte le sue rendite, venne rilegato nel feudo di Sambuci, che a lui apparteneva. Fu istituito un processo sulle supposte sue accuse, che ben presto venne sciolto per mancanza di prove. Fu anche accusato d’infedeltà verso il Papa, ma si conobbe la sua innocenza. Dopo la morte d’Innocenzo X, fece ritorno in Roma, ed intervenne al conclave di Alessandro VII. In progresso fu dichiarato protettore del regno di Napoli e Sicilia presso la santa Sede. Essendo rimasto vacante il vescovato di Catania, Filippo IV re di Spagna lo nominò a quella chiesa. Il nuovo prelato molto faticò pel bene delle anime alla sua cura affidate fino al momento della sua morte, che avvenne l’anno 1663. La sua spoglia fu sepolta in quella cattedrale in un avello di marmo.

 

ASTALLI Fulvio, Cardinale. (Moroni, 3, pp.83-84): Fulvio Astalli, nipote del precedente (Camillo), nobile romano, vide la luce nella diocesi di Tivoli in Sambuci, feudo di sua famiglia, nel 1655. Appena ebbe indossata la veste prelatizia, Clemente X, suo affine ed amico, lo ascrisse nel numero dei chierici di Camera, e lo fece presidente degli archivi. Innocenzo XI gli affidò la presidenza delle armi, e quindi per ridonare riputazione alla famiglia, avvilita dalle avventure del Cardinal Camillo, creollo ai due settembre 1686, diacono Cardinale di s. Giorgio in Velabro, e legato d’Urbino, di Ravenna e Ferrara. In questi importanti uffizii si segnalò soprattutto per la sua incorrotta giustizia. La Romagna va a lui debitrice di essere stata spurgata dagli assassini e facinorosi, che la infestavano, e di aver sperimentato gli effetti della sua benefica carità in tempo di carestia. Disseccò con ampie fosse le paludi di Cervia, e così allontanò da quelle campagne l’aria pestifera. La città di Ravenna mossa dalle egregie geste dell’Astalli, lo elesse a suo protettore. Deposta la sua diaconia, fu eletto a vescovo di Ostia e Velletri, e dopo aver governato saggiamente quella sede, terminò di vivere in Roma, decano del sacro Collegio, nel 1721. Fu sepolto nella chiesa di Aracoeli nella cappella di s. Francesco Solano dov’è la tomba de’ suoi antenati. La vita di questo esimio Porporato, scritta da Raimondo Gavotti, si trova nel tomo III degli Arcadi defonti.

 

ASTE (d’) Marcello, Cardinale. (Moroni, 3, pp.83-84): Marcello d’Aste apparteneva alla famiglia romana dei baroni di Aste, ma sortì i natali in Aversa nel regno di Napoli. In questa città si erano recati i suoi genitori nel tempo, in cui fiera pestilenza infestava la città di Roma. Dopochè fu annoverato tra i prelati, Innocenzo XI lo elesse giudice della fabbrica di s. Pietro, e presidente della congregazione di s. Ivo. In appresso Alessandro VIII lo nominò suo uditore, gli conferì un canonicato nella basilica vaticana, gli diede le cariche di consultore del s. Offizio e votante di segnatura di grazia, e lo ascrisse a varie congregazioni. Nel 1692 fu mandato da Innocenzo XII agli svizzeri, col carattere di nunzio. Egli si oppose con invitto coraggio agli eretici, i quali volevano impedire la consacrazione del nuovo vescovo di Coira, e movevano guerra agli Ordini religiosi. Ma siccome la sua salute andava di giorno in giorno peggiorando, dopo aver ricevuto il permesso dal Papa, fece ritorno in Roma. Allora fu fatto segretario dei vescovi e regolari, dignità che gli fu cambiata colla presidenza di Urbino, ove si rese celebre per la sua incorrotta giustizia. Mentre esercitava questo onorevole incarico, Innocenzo XII, a’ 14 gennaio 1699, lo elesse prete Cardinale del titolo di s. Martino, e vescovo di Ancona. Il Sommo Pontefice, nell’atto in cui lo preconizzava a quella chiesa, pronunziò queste memorande parole: Damus Anconae episcopum sanctum. Appena entrò in possesso della sua diocesi, si diede con tutto l’impegno agli esercizi del pastoral ministero. Né contento di edificare il suo gregge colle parole, lo faceva anche colle opere. Castigava il suo corpo e lo riduceva in ischiavitù coi flagelli, colle vigilie e con lunghe meditazioni. Per consiglio dei medici recossi in Bologna, ove compì la sua mortale carriera nel 1709 in odore di santità. Fu sepolto nella chiesa dei predicatori, e, ad intercessione di lui, Dio concedette molte grazie sì in vita, che dopo la sua morte. Cola Doni ne scrisse le geste, che si possono leggere nel tomo IV degli Arcadi illustri. Anche Lodovico Pandolfini ne compilò la Vita, che fu stampata in Roma nel 1711.

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