ARDINGHELLI Nicolò,
Cardinale. (Moroni, 3, pp.12-13): Nicolò Ardinghelli nacque in Firenze nel 1502
da una delle più cospicue famiglie. Segnalossi in varii rami dello scibile
umano, ed era bene istrutto nel diritto, nella poesia, nelle lingue italiana
greca e latina. Ad acuto intendimento accoppiava memoria tenace, rara prudenza.
I suoi meriti lo fecero annoverare tra gli accademici fiorentini, e protetto dal
Cardinale Farnese, che poscia fu sublimato al Pontificato col nome di Paolo III,
ebbe aperto il campo di addentrarsi vie meglio nelle scienze, e godere
l’amicizia e familiarità de’ più dotti personaggi di quell’epoca. Paolo
III gli affidò l’incarico di segretario del Cardinal Farnese suo nipote:
poscia gli fu conferito un canonicato nella metropolitana di Firenze ed il
vicariato della Marca. Dopo qualche tempo si vide l’Ardighelli innalzato alla
sede vescovile di Fossombrone, locchè avvenne nel 1541, nel qual anno fu
mandato dal Sommo Pontefice alla corte di Francesco I, in qualità di nunzio. Lo
scopo della sua missione era quello di conciliare la pace fra esso e Carlo V,
nonché di procurar la celebrazione del concilio generale. Accompagnò poscia in
Francia ed in Ispagna, e giovò coll’opera sua e co’ suoi consigli, il
Cardinale Farnese, il quale erasi recato presso quella corte insignito della
dignità a latere. Ritornato in Roma fu onorato della carica di Datario da Paolo
III, che inoltre a’ 19 dicembre 1544, lo creò prete Cardinale del titolo di
s. Apollinare. Tanta era la sua perizia nel maneggiare gli affari più
importanti e difficili, che, secondo il Segni, governava le faccende secrete di
tutta la Chiesa, ed avea il maneggio dello Stato Pontificio. Ma erano appena
passati tre anni dacchè era stato promosso alla porpora, quando una morte
immatura troncò il filo de’ suoi giorni nel 1547, contando egli soltanto
quarantacinque anni di vita. Fu sepolto nella chiesa di s. Maria sopra Minerva,
ove leggesi un onorevole epitaffio sopra la sua tomba. Il Mazzuccelli ed altri
fanno onorevole menzione di questo Cardinale, e ne’ loro scritti riferiscono
alcuni monumenti del suo ingegno.
AREZZO
Tommaso, Cardinale. (Moroni, 3, pp.18-19): Tommaso Arezzo, di nobilissima
famiglia palermitana, feconda di uomini illustri per pietà e scienza, nacque
a’ 17 dicembre 1756 in Orbetello, città della Toscana, nello stato sanese.
Recatosi a Roma fece onorevolmente i suoi studi nel collegio nazareno, e quindi
fu da Pio VI ammesso in prelatura, e fatto successivamente vice-legato di
Bologna, governatore di Fermo, Perugia e Macerata, di cui divenne delegato per
volere di Pio VII. Questi gli affidò varie missioni in tempi scabrosi, cioè
presso le corti di Russia e di Dresda: e quando eravi in Berlino Napoleone, fu
colà chiamato per affari. All’invasione, che nel 1808, fecero i francesi
della capitale del cristianesimo, Pio VII lo nominò pro-governatore di Roma; ma
no andò guari, che soggiacque alla sorte degli altri prelati, e fu deportato
qual prigioniero in Bastia, donde, nel 1813, gli riuscì di recarsi presso
Vittorio Emanuele re di Sardegna, che lo accolse con distinzione e lo consultò
in gravi occorrenze. Lo si voleva vescovo di Novara; ma l’Arezzo ricusò di
aderire come avea fatto al proposito della metropolitana di Palermo. Ricomposto
l’ordine delle cose nel 1814, ritornato Pio VII alla sua Sede, nominò il
nostro Tommaso pro-commissario del santo Offizio, e membro della Congregazione
per la Riforma: Finalmente, dopo aver colla sua diligenza e zelo disimpegnata
una commissione in Firenze, il detto Pontefice in premio de’ suoi rilevanti
servigi, agli 8 marzo 1816, lo creò Cardinale prete del titolo di s. Pietro in
Vincoli, e quindi legato apostolico di Ferrara, che governò paternamente, e
saggiamente per ben quattordici anni. Nel 1820 passò al vescovato suburbicario
di Sabina, e nel 1830, Pio VII lo promosse a vice-cancelliere di S. Chiesa,
finchè vide terminar placidamente i suoi giorni a’ 3 febbraio 1833. Il
regnante Pontefice per argomento di distinzione, volle decorare di sua presenza,
le esequie che gli furono celebrate, nella sua chiesa commendataria di s.
Lorenzo in Damaso, ove rimase sepolto. Divise la sua eredità, tra la
congregazione di Propaganda, i suoi famigliari e i poveri del vescovato.
Benemerito di Ferrara per l’istituzione dell’accademia degli Ariostei,
cooperò eziandio al ristabilimento del collegio de’ gesuiti, già fondato da
s. Ignazio in tal città. I fasti della Chiesa, ricorderanno le virtù e i pregi
di sì degno Porporato, il quale intervenne a tre conclavi, dove furono eletti
Leone XII, Pio VIII e Gregorio XVI.
ARGENTINO
Francesco, Cardinale. (Moroni, 3, pp.19-20): Francesco Argentino trasse i natali
in Venezia verso l’anno 1450, da un povero alemanno della città di Argentina,
il quale avea preso a moglie una veneziana. Giovanni Mocenigo, che poscia fu
doge, si diede pensiero di procurargli una buona educazione. Riconoscendo in
questo giovanetto un talento non ordinario, e grande bramosia di erudirsi, lo
mandò a Padova affinchè vi apprendesse il diritto. Questi poiché ebbe compito
il corso del medesimo, ne ottenne la laurea, e poscia fece ritorno a Venezia,
ove esercitò l’ufficio di avvocato. In quel tempo il Cardinale Giovanni de’
Medici era esule in questa città. L’Argentino così seppe cattivarsi la
benevolenza di lui, che ottenne un posto di canonico nella chiesa di san Marco,
o, secondo altri, nella cattedrale di Padova. In seguito recossi a Roma, ove
conseguì di essere annoverato tra i famigliari del Cardinale della Rovere, il
quale assunto fu poscia al Pontificato col nome di Giulio II. Questi fece
l’Argentino vescovo di Concordia nel 1507, e poscia gi conferì la carica di
Datario, e finalmente la dignità Cardinalizia col titolo di s. Clemente, a’
22 marzo 1511. Ma poco godette di questo onore, imperocchè dopo cinque mesi
terminò di vivere in Roma nello stesso anno 1511 in età di anni sessantuno.
Ebbe la tomba nella cattedrale di Concordia. E’ autore di varie opere, tra le
quali è noto un trattato sopra l’immunità ecclesiastica, che non fu mai
stampato.
ARGENVILLIERES
Clemente, Cardinale. (Moroni, 3, p.21):
Nacque in Roma, nell’anno 1687, da poveri genitori. Cresciuto negli anni,
applicossi con molto impegno allo studio, ed a quello soprattutto delle leggi,
delle quali essendo egli peritissimo, diede a difendere in qualità di avvocato
le cause della Curia Romana, e meritò di essere ammesso nel numero degli
avvocati concistoriali da Clemente XII. Benedetto XIV, che successe a quel
Pontefice, nel conclave in cui restò eletto lo condusse seco per conclavista,
indi conferì all’Argenvillieres un posto di canonico nella basilica
lateranense, e poscia lo dichiarò suo uditore, e gli affidò altri uffizii, che
avendo egli disimpegnato con molta perizia, gli meritarono di essere promosso
dallo stesso Papa alla dignità di prete Cardinale del titolo della Ss. Trinità
nel Monte Pincio, promozione ch’ebbe effetto il dì 26 novembre 1753. Fu
eziandio confermato nell’antica sua carica col nome di prouditore, e quindi
fatto prefetto della Congregazione del concilio, e protettore dell’Ordine dei
minimi. Quantunque si vedesse innalzato a tanta grandezza, non ne insuperbì
punto; anzi quanto più vedeasi onorato, tanto più studiavasi di essere
affabile, modesto e pronto a soccorrere que’ tutti, che ad esso lui
ricorrevano. Dopo avere impiegata la sua vita nel servigio della Chiesa, morì
nel 1758, in età di anni settantauno, di cui cinque ne visse nel Cardinalato.
Fu sepolto nella chiesa del suo titolo nella cappella di s. Francesco di Paola,
con un breve e semplice epitaffio, che egli stesso avea composto, a cui altro se
ne aggiunse molto elegante.
ARIAS
(de) Emanuello Y PORRES, Cardinale.
(Moroni, 3, pp.25-26): Emanuello Arias
nacque in Alexos castello della diocesi di Vagliadolid nella Vecchia Castiglia
nell’anno 1637. Si rese celebre non tanto per nobiltà di lignaggio, quanto
pel suo amore allo studio. Profittò, a modo, che ancor giovanetto diede alla
luce parecchi componimenti poetici, ed altri riguardanti le matematiche. Nel
1652 fu obbligato da suo padre a recarsi in Malta come cavaliere di
quell’Ordine. Raffaello Cotonero, per mostrare ad Arias la propria
gratitudine, perché si era adoperato affinchè fosse proclamato Gran Maestro,
gli conferì nel 1662 la carica di vicecancelliere di tutto l’Ordine. In
seguito il Gran Maestro Nicolò Cotonero, fratello del precedente, gli conferì
nel 1668 la ricca prebenda di Benavente, sei anni dopo quella del Viso, e da
ultimo nel 1676 l’altra di Tevenes. Anche il Gran Maestro Gregorio Caraffa,
ch’ebbe quella dignità per opera di Arias, gli diede la commenda di Guiroga,
e gli ottenne da Innocenzo XI la dignità di Gran Baly della religione.
Provveduto di copiose rendite ecclesiastiche, rinunziò al suo posto di
cancelliere, per ritornare in patria. Carlo II di Madrid voleva mandarlo
ambasciatore alla corte di Portogallo nell’anno 1690, ma ne lo dispensò
allorchè intese che bramava di essere sollevato di quella carica, meditando di
ascriversi all’ecclesiastica milizia. In età di anni cinquantatre abbracciò
lo stato ecclesiastico. Nel 1692 venne eletto granpriore e luogotenente del
granpriorato di Castiglia, oratore di tutto l’ordine Gerosolimitano presso il
re cattolico, e governatore del regio e supremo consiglio di Castiglia. Dopo
aver per due anni disimpegnato gli obblighi di questo impiego domandò di
esserne sollevato, ed ottenutone il permesso, nella sua commenda del Viso,
ch’era posta poco lungi da Madrid. Ma sollevatosi in questa città il popolo a
motivo della carestia del pane e vettovaglia, nel 1699, il re scrisse due
lettere ad Arias onde si portasse a sedare il tumulto. Il re lo obbligò a
ripigliare l’antica sua carica. Dopo la morte di Carlo II egli si adoperò
perché gli succedesse Filippo V nella monarchia di Spagna. Questo nuovo
monarche lo elesse a proprio consigliere di stato, e nel 1702 lo nominò
arcivescovo di Siviglia. Caldo di zelo pel bene della sua diocesi, ne fece più
volte la visita, ed invitò uomini ragguardevoli per dottrina e santità, i
quali cooperassero seco lui nell’esercizio del pastoral ministero. Le sue
esimie virtù gli procacciarono l’amore de’ diocesani, che ammiravano in lui
la più amorosa pietà, la carità più luminosa verso i poveri, e lo zelo più
efficace di fondare o ristaurare chiesa, seminarii, spedali ed altri luohi pii.
Mosso da virtù, e dai servigi prestati alla Chiesa ed allo stato, il re
cattolico fece istanza perché gli fosse conferita la dignità Cardinalizia. Il
Sommo Pontefice Clemente XI vi annuì, e ai 18 gennaio 1713 lo creò prete
Cardinale; ma non essendosi recato a Roma, non ebbe né cappello, né titolo
cardinalizio. Quattro anni dopo la sua elezione egli fu colto dalla morte, che
avvenne nel 1717. Ebbe tomba nella metropolitana di Siviglia nella cappella del
Ss. Sacramento. Fece erede di sue facoltà la collegiata di Xeres, e lasciò
altri legati a beneficio de’ poveri.
ARIGONI
Pompeo, Cardinale. (Moroni, 3, pp.27-28): Pompeo Arigoni creduto è a alcuni
milanese, da altri comasco. Tutti convengono nell’asserire che a caso traesse
i natali in Roma l’anno 1541 da illustre lignaggio. Cominciò il corso dei sui
studi in Perugia, lo proseguì in Bologna, e lo perfezionò in Padova, ove
ottenne la laurea in ambo le leggi. Reduce in patria, si rese celebre per la sua
perizia, nella facoltà legale, e non andò guari che il Papa Gregorio XIII lo
ammise tra gli avvocati concistoriali, e dopo parecchi anni Gregorio XIV lo
ascrisse tra gli uditori di Rota. Quindi, a’ 5 giugno 1596, fu da Clemente
VIII creato diacono Cardinale di s. Maria in Aquiro, e, nel 1597, ebbe il titolo
presbiterale di santa Balbina. Inoltre fu annoverato tra i membri delle
Congregazioni del Concilio, del santo Offizio, de’ vescovi e regolari, e fu
eletto protettore degli osservanti e dei canonici regolari del Ss. Salvatore.
Nel 1604 per ordine di Clemente VIII presiedette al capitolo tenuto in Roma dai
padri teatini per l’elezione del nuovo generale, ed in questa circostanza
diede a conoscere quanto fosse profonda la sua umiltà, volendo occupare uno
degli ultimi posti. Nell’anno appresso Leone XI lo scelse a suo datario, nella
qual carica venne confermato da Paolo V. Questo Pontefice dopo due anni lo
elesse arcivescovo di Benevento. Entrato in possesso della sua sede, l’Arigoni
fondò, o, per meglio dire, impartì al collegio dei gesuiti di quella città
tanti benefizii, che gli meritarono il nome di fondatore. Ristaurò con molta
magnificenza la sua cattedrale , e l’arricchì di preziose suppelletili e di
sacri arredi. Riedificò dalle fondamenta il palazzo arcivescovile, che
minacciava rovina, e lo ingrandì, e rese più bella la sua chiesa titolare di
s. Balbina. Eresse uno spedale, di cui affidò il governo ai frati di s.
Giovanni di Dio. A questi assegnò la chiesa e il monistero di s. Adeodato, che
dotò colle rendite di s. Spirito, di s. Maria de’ martiri e di s. Bartolommeo,
le entrate del quale volle che restassero per l’ospitalità dei pellegrini e
per le spese di que’ religiosi. Contribuì eziandio all’abbellimento della
chiesa di s. Maria della Consolazione. Ma cominciando la sua salute ad
infievolirsi ed a soffrire di debolezza di testa, che non gli lasciava sempre
libero l’uso della ragione, egli recossi in un’amena villa alla Torre del
Greco presso Napoli, affine di respirare un’aria più salubre. Non andò per
altro guari di tempo, che venne colto dalla morte nel 1616, contando egli l’età
di settantacinque anni non compiti, e venti di Cardinalato. Il suo cadavere
venne trasferito a Benevento, e sepolto nella metropolitana, ove sorge un avello
di marmo con grande epitafio, che ricorda le sue principali geste. A questo
Cardinale vengono attribuite parecchie opere, le quali sono annoverate dal
Mazzucchelli, dall’Argelati e da altri scrittori.
ARMAGNAC
Giorgio (d’), Cardinale. (Moroni, 3, pp.35-36): Giorgio d’Armagnac nacque
nella Guascogna, nel 1500, da prosapia imparentata colla famiglia di Francia. Il
Cardinal Francesco d’Amboise suo affine, e Carlo duca di Alençon suo zio, si
assunsero l’incarico di dargli una educazione conveniente alla sua nascita.
Giorgio trasse molto profitto da’ suoi studii, e, persuaso che la scienza
disgiunta dalla pietà ad altro non serve, che a pascersi di vanagloria, diedisi
con tutto l’impegno all’acquisto della virtù. Per la qual cosa Francesco I
re dei francesi gli affidò cariche importanti nella sua corte, e poscia Papa
Clemente VII gli conferì la chiesa di Rodez ad istanza del detto monarca. Il
novello prelato stabilì in quella città i gesuiti, e ad essi affidò la
pubblica educazione. Lo stesso fece in Tolosa, ove fabbricò a questi religiosi
un magnifico collegio. Nel 1536 ottenne dal Sommo Pontefice Paolo III
l’amministrazione della diocesi di Vabres; e Giovanni Maan asserisce, che,
destinato da Paolo III ad occupare la sede arcivescovile di Tours, ne ritenne il
governo per tre anni, senza averla giammai veduta. In seguito il re
cristianissimo lo inviò ambasciatore al senato veneto ed alla corte di Roma,
ove dal predetto Paolo III a’ 19 dicembre 1544, ottenne la dignità di prete
Cardinale del titolo de’ santi Giovanni e Paolo. In seguito Paolo IV, nel
1555, gli affidò la chiesa di Lesear, e trasferito da Pio IV
all’arcivescovato di Tolosa, Enrico II lo dichiarò suo intimo consigliere e
governatore di tutta l’Occitania. Esercitò questa carica con tanta saggezza e
bontà, che meritossi il nome di ottimo principe, nonché di mecenate de’
letterati. Fu presente al colloquio di Poissy, ove difese con molto calore la
cattolica fede. Adoperossi e con le parole e con gli scritti per ricondurre al
centro di unità Lodovico di Borbone principe di Condè ed altri illustri
personaggi infetti di eresia. Ebbe il conforto di vedere incoronate di prospero
successo le sue fatiche, affine di mantenere ubbidiente alla santa Sede la
contea di Avignone, alla quale presiedette in luogo di Carlo di Borbone. Inoltre
servendosi di alcune truppe inviategli da s. Pio V, occupò parecchie terre
degli eretici, le restituì al dominio della Chiesa romana sotto la
giurisdizione di Avignone. Di questa chiesa egli assunse il governo nel 1577,
dopo avere rinunziata quella di Tolosa. Nel corso degli otto anni, in cui tenne
la sede di Avignone, occupossi di varie opere che resero celebre il suo nome.
Fondò un monastero di religiosi minimi, accrebbe quello dei celestini, stabilì
il tribunale della Ruota, celebrò nel 1579 un concilio provinciale, e colmò
quella città d’altri considerevoli benefizii. Finalmente nel 1585, compì la
sua mortale carriera, compianto da tutti. Questo illustre personaggio, che
sostenne l’onore del Cardinalato per anni quarantuno, ed era intervenuto ai
comizi di Giulio III, Marcello II e Paolo IV, ebbe ad essere seppellito nella
chiesa di santa Maria de’ Doni in Avignone.
ARMELLINI
MEDICI Francesco, Cardinale. (Moroni, 3, pp.36-37): Francesco Armellini secondo
alcuni, nacque in Perugia nel 1469. Secondo altri, in Fossato luogo della
diocesi di Nocera. Evvi ancora chi assicura che il suo cognome fosse Pantalassi,
chiamandosi così il suo genitore, il quale lasciò questo per assumere quello
dello zio materno. Giulio II gli conferì la carica di suo segretario, e del
sacro Collegio. Dopo la morte di questo Pontefice, Leone X che gli successe,
adottò l’Armellini nella propria famiglia, lo ascrisse tra i pronotari
apostolici, poscia lo fece chierico di Camera e finalmente segretario
apostolico. Avendo disimpegnato con molta diligenza e perizia questi
importantissimi uffizii, dal detto Pontefice, nella celebre promozione di
trent’un porporati il primo luglio 1517, fu creato prete Cardinale del titolo
di s. Marco, e, secondo altri, di s. Calisto. Fu inoltre insignito del carattere
di legato dell’Umbria, della Marca e della Francia, ed eletto amministratore
delle chiese di Oppido e Gerace, come pure di Camirlingo della santa Chiesa
romana. Dopo qualche tempo Clemente VII lo innalzò alla carica di
provicecancelliere, e nel 1524, lo elesse arcivescovo di Taranto. Ma nel 1527,
essendo stata saccheggiata la città di Roma, egli soggiacque alla perdita dei
suoi beni, e siccome tacciato di attaccamento al denaro, fu criticato dal
Cardinal Pompeo Colonna in pieno concistoro. In quell’anno medesimo, afflitto
per la sua perdita, terminò la carriera mortale nel castello di san Angelo, ove
avea cercato un rifugio. La sua spoglia fu sepolta nella chiesa di s. Maria in
Trastevere, ove sorge alla sua memoria un sontuoso mausoleo. Trovossi presente
ai comizii di Adriano VI, e Clemente VII, il quale co’ duecento mila scudi che
il defunto possedeva fuori di Roma, si servì pel suo riscatto, e pei bisogni
della Chiesa.
ARMET
o BROGNIER Giovanni, Cardinale. (Moroni, 3, p.37): V. BROGNIER.
ARNOLDI
o ARNAUD o ARNAULT Pietro, Cardinale. (Moroni, 3, p.41): Arnoldo, che altri
chiamano Raynaldi o Arnaldi, nacque nel Bearne in Guascogna verso la metà del
secolo decimoterzo. L’amore che avea per la solitudine, ed il desiderio di
consacrarsi al servigio di Dio, lo indussero ad ascriversi tra i religiosi di s.
Benedetto nel monistero di san Severo, diocesi di Aire. In seguito fu eletto
abbate del monastero di s. Croce di Bourdeaux, e ne sostenne con molta lode
l’incarico. Venne anco da Clemente V fatto cappellano Pontificio e
vicecancelliere della Santa Romana Chiesa, ed a’ 15 dicembre 1305, lo stesso
Pontefice lo creò prete Cardinale del titolo di s. Stefano di Montecelio,
ovvero di s. Prisca. Ma pochi mesi dopo la sua promozione terminò di vivere in
Avignone nel 1306.
ARREBLAJO
(d’) Pietro, Cardinale. (Moroni, 3, pp.44-45): Arreblajo, detto comunemente
Arreblay era vice-cancelliere di Francia, canonico di s. Quintino nei Viromandi
ed arcidiacono Borbonese nella chiesa di Autun. Papa Giovanni XXII, il dì 17
decembre 1316, ad istanza di Filippo re di Francia, gli conferì la dignità di
prete Cardinale col titolo di s. Susanna. Lo stesso Pontefice gli comandò
poscia di esporre il suo parere intorno alle dottrine di fra Michele da Cesena.
Obbedì l’Arreblajo, e condannò con uno scritto le tesi del medesimo. In
seguito fu scelto dallo stesso Pontefice a decidere una controversia insorta nel
capitolo di Chieti per la elezione di quel vescovo. Terminò la sua mortale
carriera nell’anno 1329.
ASSIA
Federico, Cardinale. (Moroni, 3, p.71): Federico landgravio d’Assia, de’
principi Darmstadt, abiurata l’eresia in cui era stato educato, professò
nella religione gerosolimitana di Malta, di cui nella Germania ottenne il
supremo magistero, insieme colla prefettura delle galere di Malta, col valore
delle quali e con savia sua direzione, trionfò sopra i legni degl’infedeli, e
ne riportò molte e segnalate vittorie. Dopo di che intraprese un viaggio per
l’Italia, Spagna e Alemagna, in cui fu accolto, e trattato con pari
splendidezza e magnificenza da’ principi, e signori d’ogni città e
provincia. Filippo IV re di Spagna lo nominò ammiraglio della flotta di
Oriente, e delle galere di Spagna, ed affidogli la prefettura della Sardegna.
Finalmente, Federico ben meritando della fede cristiana per la disfatta de’
turchi, e della Chiesa cattolica per la detestazione dell’eresia, il Papa
Innocenzo X, ad istanza di Cesare Ferdinando III, lo ascrisse al sacro Collegio,
a’ 19 febbraio 1652, colla diaconia di s. Maria Nuova. Inoltre gli diede il
vescovato di Uratislavia o Breslavia, nonché la protettoria del sacro romano
impero, dell’inclita nazione Alemanna, e de’ regno di Sardegna e Sicilia
presso la Sede Apostolica. Deputato da Alessandro VII, in tempo del micidial
contagio, ad invigilare alla sanità del popolo romano, espose a repentaglio la
propria vita per salvare l’altrui, visitando ogni giorno di persona i rioni
della città, e insieme gl’infetti dal pestilenzial morbo, e singolarmente i
poveri, cui sovveniva con medicine e limosine. Perciò ei divenne la delizia e
l’amore di Roma. Lo stesso Alessandro VII, insieme col Cardinal Carlo dei
Medici, lo prescelse ad incontrare, accompagnato da una nobilissima compagnia,
la celebre Cristina regina di Svezia, cugina del Cardinale, che recavasi alla
capitale del mondo cattolico, dopo aver rinunziato il regno, abiurato il
luteranismo; sul qual trono poi nel 1718, ascese Federico sovrano di Assia
Cassel, come sposo di Ulrica Eleonora erede della corona. In Roma sostenne il
carattere di ambasciatore imperiale per Leopoldo I, nella quale occasione rimase
imbarazzato nelle controversie, che si eccitarono col Cardinal Altieri, e gli
ambasciatori de’ monarchi, sotto il Pontificato di Clemente X. Quantunque,
come altrove accennammo, fosse a dovizia provveduto di sostanze e di ricchezze,
ciò non pertanto le generose sue carità, e la compassione verso i miserabili,
lo rendettero mai sempre indigente. Trovossi a’ conclavi di Alessandro VII, di
Clemente IX, di Clemente X e d’Innocenzo XI. La sua morte accaduta in
Breslavia nel 1682, contando egli sessantasei anni, riscosse il tributo delle più
sincere lagrime. Il cadavere di lui trovò riposo in quella cattedrale nella
cappella di s. Elisabetta, ch’egli con ecclesiastica munificenza costrusse, e
lasciò erede dei suoi beni e delle sue suppellettili.
ASTALLI
(degli) Astaldo, Cardinale. (Moroni, 3, p.83): Astaldo degli Astalli era romano
di nascita. Celestino II, nel dì delle ceneri dell’anno 1144, lo promosse
alla dignità di diacono Cardinale di s. Eustachio, e poscia prete del titolo di
s. Prisca. Intervenne ai comizii di Lucio II, Eugenio III, Anastasio IV ed
Adriano III. Sotto il Pontificato di quest’ultimo, compì l’Astalli i suoi
giorni, dopo tre lustri dacchè era stato fregiato della porpora. Nei tempi
calamitosi dello scisma egli restò fedele al legittimo capo della Chiesa di
Cristo.
ASTALLI
Camillo, Cardinale. (Moroni, 3, p.83): Camillo Astalli trasse origine da una
ragguardevole ed antica famiglia romana., nel 1616, e, secondo altri nel 1619.
Avendo compiuto con molta lode il corso delle lettere amene e delle scienze, fu
annoverato tra gli avvocato concistoriali, ed in appresso tra i chierici di
Camera colla presidenza delle carceri. Poscia Innocenzo X per una straordinaria
predilezione, e col consiglio del Cardinal Panciroli, a’ 19 settembre 1650, lo
creò prete Cardinale del titolo di s. Pietro in Montorio. Dopo essere stato
adottato nella famiglia Panfili, col cognome, collo stemma, col grado, colle
onorificenze e rendite di nipote dello stesso Pontefice, venne fatto membro di
tutte le congregazioni di Roma, gli fu affidato il governo della città di
Fermo, la legazione di Avignone, e venne eletto a protettore dei minori
conventuali. Ma non andò molto tempo, che l’Astalli, si vide fatto il
bersaglio dell’invidia più accanita. Privato degli onori e di quasi tutte le
sue rendite, venne rilegato nel feudo di Sambuci, che a lui apparteneva. Fu
istituito un processo sulle supposte sue accuse, che ben presto venne sciolto
per mancanza di prove. Fu anche accusato d’infedeltà verso il Papa, ma si
conobbe la sua innocenza. Dopo la morte d’Innocenzo X, fece ritorno in Roma,
ed intervenne al conclave di Alessandro VII. In progresso fu dichiarato
protettore del regno di Napoli e Sicilia presso la santa Sede. Essendo rimasto
vacante il vescovato di Catania, Filippo IV re di Spagna lo nominò a quella
chiesa. Il nuovo prelato molto faticò pel bene delle anime alla sua cura
affidate fino al momento della sua morte, che avvenne l’anno 1663. La sua
spoglia fu sepolta in quella cattedrale in un avello di marmo.
ASTALLI
Fulvio, Cardinale. (Moroni, 3, pp.83-84): Fulvio Astalli, nipote del precedente
(Camillo), nobile romano, vide la luce nella diocesi di Tivoli in Sambuci, feudo
di sua famiglia, nel 1655. Appena ebbe indossata la veste prelatizia, Clemente
X, suo affine ed amico, lo ascrisse nel numero dei chierici di Camera, e lo fece
presidente degli archivi. Innocenzo XI gli affidò la presidenza delle armi, e
quindi per ridonare riputazione alla famiglia, avvilita dalle avventure del
Cardinal Camillo, creollo ai due settembre 1686, diacono Cardinale di s. Giorgio
in Velabro, e legato d’Urbino, di Ravenna e Ferrara. In questi importanti
uffizii si segnalò soprattutto per la sua incorrotta giustizia. La Romagna va a
lui debitrice di essere stata spurgata dagli assassini e facinorosi, che la
infestavano, e di aver sperimentato gli effetti della sua benefica carità in
tempo di carestia. Disseccò con ampie fosse le paludi di Cervia, e così
allontanò da quelle campagne l’aria pestifera. La città di Ravenna mossa
dalle egregie geste dell’Astalli, lo elesse a suo protettore. Deposta la sua
diaconia, fu eletto a vescovo di Ostia e Velletri, e dopo aver governato
saggiamente quella sede, terminò di vivere in Roma, decano del sacro Collegio,
nel 1721. Fu sepolto nella chiesa di Aracoeli nella cappella di s. Francesco
Solano dov’è la tomba de’ suoi antenati. La vita di questo esimio
Porporato, scritta da Raimondo Gavotti, si trova nel tomo III degli Arcadi
defonti.
ASTE
(d’) Marcello, Cardinale. (Moroni, 3, pp.83-84): Marcello d’Aste apparteneva
alla famiglia romana dei baroni di Aste, ma sortì i natali in Aversa nel regno
di Napoli. In questa città si erano recati i suoi genitori nel tempo, in cui
fiera pestilenza infestava la città di Roma. Dopochè fu annoverato tra i
prelati, Innocenzo XI lo elesse giudice della fabbrica di s. Pietro, e
presidente della congregazione di s. Ivo. In appresso Alessandro VIII lo nominò
suo uditore, gli conferì un canonicato nella basilica vaticana, gli diede le
cariche di consultore del s. Offizio e votante di segnatura di grazia, e lo
ascrisse a varie congregazioni. Nel 1692 fu mandato da Innocenzo XII agli
svizzeri, col carattere di nunzio. Egli si oppose con invitto coraggio agli
eretici, i quali volevano impedire la consacrazione del nuovo vescovo di Coira,
e movevano guerra agli Ordini religiosi. Ma siccome la sua salute andava di
giorno in giorno peggiorando, dopo aver ricevuto il permesso dal Papa, fece
ritorno in Roma. Allora fu fatto segretario dei vescovi e regolari, dignità che
gli fu cambiata colla presidenza di Urbino, ove si rese celebre per la sua
incorrotta giustizia. Mentre esercitava questo onorevole incarico, Innocenzo XII,
a’ 14 gennaio 1699, lo elesse prete Cardinale del titolo di s. Martino, e
vescovo di Ancona. Il Sommo Pontefice, nell’atto in cui lo preconizzava a
quella chiesa, pronunziò queste memorande parole: Damus Anconae episcopum
sanctum. Appena entrò in possesso della sua diocesi, si diede con tutto
l’impegno agli esercizi del pastoral ministero. Né contento di edificare il
suo gregge colle parole, lo faceva anche colle opere. Castigava il suo corpo e
lo riduceva in ischiavitù coi flagelli, colle vigilie e con lunghe meditazioni.
Per consiglio dei medici recossi in Bologna, ove compì la sua mortale carriera
nel 1709 in odore di santità. Fu sepolto nella chiesa dei predicatori, e, ad
intercessione di lui, Dio concedette molte grazie sì in vita, che dopo la sua
morte. Cola Doni ne scrisse le geste, che si possono leggere nel tomo IV degli
Arcadi illustri. Anche Lodovico Pandolfini ne compilò la Vita, che fu stampata
in Roma nel 1711.