BADEN Bernardino Gustavo Adolfo, Cardinale. (Moroni, 4, pp30-31): Gustavo nacque a Durlach in Germania nel 1631. Mentre egli veniva istituendosi nelle lettere e negli esercizii militari, incappò miseramente negli errori di Lutero. Se non che allora si fece ricercar di proposito la verità, la ritrovò, e fermò seco stesso di costantemente seguirla a dispetto di chi si fosse appressato a lui per distornerlo. Vi riuscì per siffatta maniera, che dopo l’aver rigettato il luteranismo, nel viaggio che fece dell’Italia e della Francia, venuto a Roma, e quivi ancora meglio istruito nella vera religione, professò la fede cattolica romana, e vestì l’abito di s. Benedetto, nel celebre monistero di Fulda, del qual monistero, come pure di quello di Campidona divenne abbate. In appresso divenne principe del S. R. I. Tali cospicue dignità però non tolsero a lui il pregio di fervente e perfetto religioso. Il perchè divenuto caro a Leopoldo imperatore, a cui era congiunto per sangue, fu per intercessione di lui creato Cardinale prete del titolo di s. Susanna da Clemente X, nella seconda promozione, che fece nel 1671 li 24 di agosto. Non vestì la sacra porpora per sei anni, poiché ritornando dal conclave d’Innocenzo XI in Alemagna, perdette quasi d’improvviso la vita nel 1677, contando il quarantesimo sesto anno dell’età sua. Il Pontefice del pari che Cesare intesero amaramente la perdita di tanto soggetto, dacchè egli era un principe di qualità eminenti, di fermo e sodo pensamento, destro ne’ maneggi, dotato di non comune affabilità, generoso e magnanimo.

 

BADIA Tommaso, Cardinale. (Moroni, 4, pp.31-32): Badia Tommaso appartenente ad antica famiglia modenese, venne alla luce nel 1483. Si fece domenicano, e riuscì a tale in erudizione ecclesiastica ed illibatezza di costumi, che più di una volta voleano eleggerlo a generale del suo Ordine. Benchè raccomandato due volte dai romani Pontefici, prima da Clemente VII nel capitolo tenuto nel 1530, e poi da Paolo III in quello, ch’ebbe luogo nell’anno 1539, tuttavia perché era caduto in sospetto di troppo rigore ai frati, sebbene come scrissero alcuni, senza gran fondamento, venne escluso dalla suprema prefettura dell’Ordine. Se non che nel 1523 fu da Clemente VII trascelto a maestro del sacro palazzo; e Paolo III volle valersi del Badia nei più interessanti affari del Pontificato, il perché lo volle fra quelli, che, prima della convocazione del generale concilio, destinava alla riforma del clero ed al ristabilimento della ecclesiastica disciplina. Inviato poi, nel 1540, dal Pontefice al colloquio di Vormanzia, dimostrossi valoroso nel confutare gli eretici e sostenere i diritti del Pontefice. A premio di tanti meriti fu nominato Cardinale prete del titolo di s. Silvestro in capite, nella settima promozione, che fece Paolo III li 31 maggio 1542. Secondo Alessandro Tassoni seniore, che fu contemporaneo a lui, egli ricusò tale dignità; ma fu costretto ad accettarla. Rinunziò di più alla chiesa di Urbino e ad altri non pochi vantaggiosi beneficii ecclesiastici, contento del semplice necessario al proprio sostentamento. Venne in seguito deputato sopra la congregazione del s. Offizio, coll’assegno dell’abitazione nel palazzo vaticano, perché più facilmente potesse servire al Pontefice, che di lui valevasi nel reggimento della Chiesa. Ne avvisa il Tournon, nel IV tomo della sua opera degli Uomini Illustri dell’Ordine dei predicatori, ed il Fontana nel suo Teatro Domenicano pag. 444 scrive, come dagli atti concistoriali del 16 ottobre 1542 apparisce, che il Badia fosse uno dei tre legati destinati al concilio in un ai Cardinali Parisio e Polo, e poi aggiugne, che fermossi a Roma perché il Papa si determinò di trattenerlo ad oggetto di esaminare ciò, che proponeasi ed agitavasi a Trento; e che di più incaricollo il Papa di esaminare l’istituto di s. Ignazio, che fu quindi dal medesimo Pontefice approvato. Dello stesso parere trovasi anche il Pallavicini nella Storia del Concilio di Trento. Divenuto Cardinale il nostro Badia non tralasciò cosa alcuna rapporto al tenore di vita da lui praticata, mentre vivea in qualità di semplice religioso; quindi dividea il suo tempo tra lo studio e l’orazione, e si rese di questa maniera più chiaro per la santità dei costumi che per la dignità della porpora Cardinalizia. Dopo sessantaquattro anni di vita non peranco compiti, e sei di Cardinalato nel 1547, in odore di santità, andò a ricevere la corona, che gli era apparecchiata. Le sue ossa furono riposte alla porta della chiesa di s. Maria sopra Minerva, presso alla tomba del Cardinale Gaetano, sepoltura, che egli medesimo erasi eletta. Il fratello di lui Francesco Badia vi fe’ sovrapporre assai onorevole iscrizione.

 

BADOARIO Bonaventura, Cardinale. (Moroni, 4, pp32-33): Bonaventura Badoario nacque a Padova nel 1332, da chiara famiglia, secondo lo Scardeonio nella Storia degli uomini illustri di Padova, e l’Ossinger nella Biblioteca agostiniana. Ascritto fra gli eremiti di s. Agostino, si applicò tanto seriamente agli studii nell’università di Parigi, che, riportò la laurea, fu per ben dieci anni lettore di sacra teologia. Tornato in Italia, s’impiegò con somma lode sì nel predicare dal pergamo, che nell’insegnare dalla cattedra., segnatamente in Bologna per ordine d’Innocenzo VI, che lo ascrisse a que’ nove insigni dottori da lui destinati ad erigere un collegio nell’università di Bologna. Da Gregorio XI fu spedito nunzio apostolico a Lodovico re di Ungheria, perché lo inducesse alla sacra guerra, e nel 1377, i suoi meriti distintissimi lo sollevarono al generale magistero dell’Ordine a Verona, benchè vogliano i Bollandisti essere ciò avvenuto nel 1378, non già, come vogliono alcuni, nella terza promozione del dicembre 1381. Errarono poi il Panvinio, il Ciacconio ed i Bollandisti nel fissarne l’epoca nel 1384, dacchè trovasi il Badoario sottoscritto come Cardinale alla bolla della concessione del regno di Sicilia, cui fece Urbano VI al re Carlo III, nel 1381 nel giorno primo di giugno: di più l’antipapa Clemente VII nelle sue due bolle del 1378 e 79, chiama il Badoario Cardinale di Urbano VI; e s. Caterina da Siena, che morì nel giorno 29 aprile del 1380, scrisse a lui una lettera quando era già Cardinale. Se non si tiene per certa la legazione onorevolissima commessa al Cardinale novello da farsi a Ladislao re di Polonia, non si questiona però minimamente di quella, ch’ebbe per l’Ungheria, come apparisce anche da alcune indulgenze da lui concesse in Neustadt d’Austria, soggetta in all’ora all’arcivescovo di Salisburgo. Il Badoario fu il primo che decorasse il suo Ordine dell’onor della Porpora. Francesco Carrara il Vecchio lo odiò sommamente perché zelava l’immunità ecclesiastica, mentre questo tiranno di Padova affliggeva la Chiesa di Dio. A lui sempre resistette da forte il nostro Cardinale negando d’accordargli alcune ingiuste domande, anzi riprendendolo a voce ed in iscritto dalle manifeste e pubbliche violenze, che operava. Il tiranno lo fece uccidere per mezzo di un sicario, che gli scoccò contro una freccia mentre passava il ponte di Castel sant’Angelo per andare al concistoro, e con tale segretezza, che non fu mai possibile scoprire l’autore di sì orrendo delitto, se non per mezzo di congetture. Perché il Badoario fu morto a difesa dell’ecclesiastica immunità, molti lo riconoscono martire, e lo onorano del titolo di beato; tra’ quali abbiamo lo Scardeonio, il Tritemio, il Volterrano, Paolo Cortese ed altri, per la qual cosa i continuatori degli atti dei santi lo hanno riposto nell’opera loro al giorno 10 giugno. Fu sepolto nel chiostro di s. Agostino, ove presentemente ritrovasi nella cappella di s. Nicolò da Tolentino, ed a manca della stessa vedesi rozzamente espressa la sua effigie incastrata nella vicina parte, attorniata da una iscrizione in carattere gotico. Fu dottissimo il Badoario ed amicissimo del Petrarca, a cui fece nella università di Padova, all’occasione delle solenni esequie di lui, funebre orazione, quando non era ancora insignito della porpora. I più riputati fra i suoi scritti sono: I commenti sulle epistole canoniche, e quelli sul maestro delle sentenze.

 

BADUARO Giannalberto, Cardinale. (Moroni, 4, pp.33-34): Baduaro Giannalberto ebbe a patria Venezia, e venne a luce nel 1658 da una delle prime famiglie di questa nobilissima città. Alberto Baduaro, suo zio e vescovo di Crema, lo ebbe seco nei primi anni della sua educazione, e gli conferì l’arcidiaconato di quella cattedrale. Morto lo zio, restò Giannalberto erede di tutte le sostanze di lui, e passò a Padova, dov’era vescovo il b. Gregorio Barbarigo. Questi conosciutine i meriti, lo ordinò sacerdote, e gli conferì nella sua chiesa un canonicato. Quindi Luigi Contarini doge di Venezia nominollo alla dignità di primicerio nella chiesa ducale di s. Marco, e per la sua integrità e conosciuta virtù Innocenzo XI, nel 1688, lo elesse a patriarca di Venezia. Ad oggetto di riformare i costumi nel suo popolo, ebbe in mira di conferire le parrocchie vacanti a sacerdoti, che per dottrina e pietà fossero distinti, e perché non credeva sufficienti quelli, che teneva presso a sé, ne chiamò buon numero da altre parti, e per non abbisognare in seguito di ciò, aprì seminari ed accademie a pubblico ammaestramento dei giovani. Egli zelava assaissimo la salute delle anime, e perciò insegnava la dottrina per le piazze e per le strade della sua popolatissima metropoli, predicando sovente dai pergami, e pontificalmente vestito, esponendo le divine verità per siffatta maniera da muovere a compunzione i più traviati. A tal fine manteneva a proprie spese missionarii e predicatori. Rigido e severo seco stesso, si accontentava di un vitto assai frugale, d’un brevissimo riposo, e maceravasi con cilicii e flagelli in modo di versar sangue a grande copia. Il perché venne in grande considerazione presso i romani Pontefici, e specialmente a Clemente XI, che lo promosse al Cardinalato, col titolo presbiterale di s. Marcello, nella seconda promozione, che fece li 17 maggio 1706, e lo trasferì al vescovato di Brescia. Difatti questa città abbisognava di un zelantissimo pastore, per causa degli errori dei quietisti, disseminati dall’empio Beccarello. Fu di più ascritto alla primarie Congregazioni di Roma nell’anno stesso 1706, nel quale fu eletto Cardinale. A mezzo del Badario venne purgata Brescia da ogni errore e ridotta alla purezza ed unità della cattolica fede, essendo condannato tra gli altri solennemente il Beccarello nella piazza della cattedrale. Il Baduario fece inoltre da uomini dottissimi confutare l’eretico Picenino, che con varii libri infami stampati in italiano, procurava diffondere il veleno de’ suoi errori. Combattè valorosamente anche gli errori di Giansenio. Azioni cotanto religiose e magnanime gli eccitarono contro il livore e l’invidia di non pochi, i quali però non valsero farlo deviare neppure di un punto dell’opera incominciata, anzi raddoppiava il suo zelo contro gli empi, e la vigilanza pel suo gregge. Introdusse nella diocesi le religiose della Visitazione istituite da s. Francesco di Sales. Nel terzo anno del suo vescovato andò a visitare Luigi Ruzzini vescovo di Bergamo, ch’era gravemente infermo. Da ultimo le enormi fatiche incontrate pel bene della sua chiesa, gli procurarono una malattia, che lo condusse al conseguimento del premio eterno con grido di santità e prodigi, contando egli sessantasei anni di vita ed otto di Cardinalato. Tutti piansero amaramente la perdita di lui; fu sepolto nella chiesa del proprio titolo nella cappella di s. Antonio, con un breve epitafio, spirante modestia ed umiltà, come quello, che vivendo egli si era composto.

 

BAKACZ o BACOCZI Tommaso, Cardinale. (Moroni, 4, pp.55-56): Bacoczi Tommaso da poveri ed ignobili parenti ebbe i natali circa la metà del secolo decimoquinto ad Herdoutk nella diocesi di Vesprin nell’Ungheria, come affermano il Garimberte nelle vite di alcuni Cardinali, e Simone Samuel nella Porpora canonica. Fino dai primi anni applicossi seriamente agli studii, prima in Bologna, quindi a Ferrara ed in seguito venne ammesso alla corte del Cardinal Ippolito d’Este, vescovo di Agria, in qualità di segretario. Fu da ciò, ch’egli crebbe a tanto di potere e riputazione, specialmente presso il re Mattia Corvino, che in breve non solo fu eletto cancelliere del regno e regio segretario ma di più venne promosso alla dignità di vescovo di Alba e di Agria nel 1497, ed ascese anche alla cattedra della metropolitana di Strigonia. Non si sa donde abbia attinto il Fleury che questo Cardinale sia stato eletto vescovo di Torino, dacchè nella serie dei pastori di quella Chiesa tessuta dall’Ughellio, non si parla minimamente del Bacoczi. Bensì. Per le istanze di Uladislao V re di Ungheria e della repubblica veneta, venne da Alessandro VI, nell’ottava promozione fatta in Roma l’anno 1502, creato, benchè assente, Cardinal di S. Romana Chiesa, ricevendo poi il presbiterale del titolo di s. Martino, fatto legato a latere di pressochè tutto il Settentrione dove non vi fu città o provincia in cui non penetrasse. Ottenuta poscia da Leone X, apposita facoltà di predicare la crociata contro il turco, che minacciava l’Ungheria, non vi volle meno, che tutta l’autorità e saviezza del Cardinale a stornare le ruine, che sarebbero derivate da un esercito di sessanta mila uomini, i quali, invece che combattere i mussulmani, rivolsero le forze contro ai grandi dell’Ungheria. Aiutò assai Leone X a stabilire la pace tra i principi cristiani; nel 1513 andò a Roma per la seconda volta per ottener soccorso contro i turchi, e visitò devotamente il santuario di Loreto. In Vienna fu presente alle nozze solenni, ch’ebbero luogo tra Anna figlia di Uladislao re d’Ungheria e l’imperatore Massimiliano, così pure a quelle di Maria nipote dello stesso Cesare, e Lodovico re di Ungheria. Amabile e dolce era l’indole di lui; usava belle maniere verso tutti, e specialmente si mostrava generoso nel sostenere a proprio carico in Vienna, Strigonia ed anche in Italia buon numero di giovani, affinchè progredissero ei buoni costumi e nelle lettere. Di più, affine di proteggere i confini dell’Ungheria manteneva armato numerosissimo esercito. Intervenne da ultimo ai conclavi di Pio III, e Leone X, ed avendo arricchito i feudi suoi, morì nella sua patria nel 1521, come raccogliesi da un manoscritto, che conservasi nella biblioteca vaticana.

 

BALDESCHI Benedetto, Monaldi, Cardinale. (Moroni, 4, p.61): Baldeschi Benedetto nacque da Perugino patrizio, nel 1588. Si consacrò con impegno agli studii nel seminario e nel collegio di s. Bernardo in Perugia sue patria, e quindi fu condotto dallo zio Francesco Baldeschi (che fu poi uditore di Ruota) in Avignone, dove si fermò per due anni, e poscia ritornato in patria ottenne la laurea. Passato a Roma, studiò indefessamente per sedici anni e più la legge, e giunse a tanto da poter molto onorevolmente sostenere l’ufficio di avvocato. Succedette poi allo zio sì nelle ricchezze come nella carica di giudice della Ruota romana; indi fu assegnato per uditore e datario al Cardinale Antonio Barberini nella legazione che nel 1682, sostenne in Lombardia, e nel 1630, in Urbino, e tanto s’acquistò di merito in siffatto impiego, che il Barberini, per dimostrarsi a lui riconoscente, gli rinunziò la pingue abbazia di san Bevignate, vicino a Perugia, mentre il Pontefice Urbano VIII credette, per vie meglio premiarlo, sollevarlo all’onore della porpora Cardinalizia, creandolo diacono Cardinale dei ss. Vito, e Modesto, nella settima promozione del 1633, a’ 28 settembre. Vedovata la chiesa di Perugia del proprio pastore, trasferito all’arcivescovato di Monreale, fu questa da Urbano conferita al Cardinale Monaldi Baldeschi, sebbene non potesse per allora attendere in persona alla cura del suo gregge attesa la legazione di Bologna, ottenuta due mesi prima. Nel 1637, a perpetuo monumento di sua divozione verso la Vergine santissima e s. Francesco, prima di partire, fe’ innalzare, innanzi alla chiesa di esso santo nella piazza dei francescani, una colonna con sovrappostavi una statua rappresentante l’immacolata Concezione, nella base della quale volle che si apponesse una iscrizione latina. Stabilitosi a Perugia, visitò la diocesi, radunò un sinodo, attendendo con tutta premura alla esecuzione dei suoi doveri. Ma cinque anni dopo, per timore di non poterli esattamente adempierli, rinunziò il vescovato ad Orazio suo fratello, che fin dal 1639 occupava la sede di Gubbio, e che nel 1643, fu da Urbano VIII trasferito alla chiesa di Perugia. Né errò nel suo provvedimento il Cardinale, dacchè nel 1644 infermato gravemente, nel detto anno venne a morte, nell’età di cinquantasei anni ed undici di Cardinalato.

 

BALDESCHI Federico, Cardinale. (Moroni, 4, pp.61-62): Baldeschi Federico nacque a Perugia, nel 1625, dalla nobile famiglia Baldeschi, e a mezzo del Cardinale Pancirolo, segretario di stato d’Innocenzo X, passò a Roma. Essendo molto dotto nella legge ed in oltre fornito di non ordinaria erudizione, fu preposto alla città di Faenza, della provincia di Sabina e della in allora terra, ed in oggi città di Fabriano. Fu dappoi mandato nunzio agli svizzeri, quindi sa Clemente X, fu eletto segretario di Propaganda e poscia assessore del s. Offizio, il 22 marzo del 1673. A cagione poi del matrimonio che fece il Pontefice di una sua pronipote col principe Egidio Colonna di Sciarra, il Baldeschi, colla rendita di tremila scudi e col nome di Federigo Colonna, creato venne prete Cardinale del titolo di s. Marcello, nella quinta promozione dei 23 giugno 1673. Ciò fece Clemente X, perché volendolo onorare della sacra Porpora uno della illustre famiglia Colonna, né trovandosi nessuno in essa che fosse atto al Cardinalato, come uno degli affini, fu scelto il Baldeschi che prese il nome della famiglia. Venne in appresso dichiarato prefetto della congregazione del concilio, ove dimostrò più che mai i suoi talenti e doti singolari. Si impegnò altresì nello accomodare le controversi, che vigevano fra il Cardinale Paluzzo Altieri e gli ambasciatori delle corone, ed era così stimato nella curia di Roma, per la perizia nelle leggi, che i suoi voti tenevansi per oracoli. Concorse all’elezione d’Innocenzo XI, di Alessandro VIII e di Innocenzo XII, compì i suoi giorni in Roma, nel 1691, di sessantasei anni di età e diciotto di Cardinalato, e fu sepolto nella chiesa di Propaganda. Avea il Baldeschi sortito un naturale molto fervido, ma moderato però sempre dalla ragione. Capacissimo negli affari avea nobile il tratto, amabili le maniere, a cui univa un contegno sempre grave e maestoso.

 

BALVE Giovanni, Cardinale. (Moroni, 4, pp.68-70): S’ignora il luogo preciso ove nacque, poiché alcuni sono d’avviso, che abbia veduto la luce nel ducato d’Angiò, altri in Verdun, ed altri in Poitiers; chi lo crede nato da un ciabattino, chi da un racconciatore di panni, e chi da un mugnaio. L’epoca però del suo nascimento viene da molti segnata all’anno 1421. Mancante di nascita cospicua, di scienza e pietà, trovò nullostante in quello spirito di cabala, ond’era fornito, con che appagare la sua ambizione. Guadagnatosi pertanto il favore di Giangiovenale Orsini, patriarca di Antiochia, a mezzo della più raffinata scaltrezza, ottenne di essere, secondo alcuni, fatto suo vicario, canonico della cattedrale, ed esecutore testamentario, e giunse, secondo il Maan, a profittare del pingue patrimonio, cui aveva disposto quel signore a favore dei poveri e delle cause pie. Passò dappoi al servigio di Giovanni Bellavalle vescovo d’Angers, dal quale, secondo il Fleury, fu fatto canonico e vicario generale nel 1461. Ma dovendo il Bellavalle passare a Roma, perché incaricato da Carlo VII dell’ambasceria a Pio II, non potè il Balve occultare il suo carattere a maniera, che l’oculatissimo Cardinal di Pavia non se ne avvedesse. Ritornato il Balve in Francia per conferire col re Luigi XI, si guadagnò il favore di questo principe in modo che gli diede la carica di intendente delle finanze e di segretario, e poscia lo elesse a suo confessore, limosiniere e tesoriere, dacchè compiacevasi a promuovere persone di oscura nascita; e nel 1465 sotto Paolo II, lo nominò al vescovato di Evreux dal quale, nel 1467, fu trasferito a quello di Angers, e non, come il Riuy osservava, a quello di Angiò, errore che prima di lui avea adottato il Garimberti. Per giungere al Cardinalato, a cui di continuo aspirava, impugnò la prammatica sanzione, e benchè di subito non ne ottenesse lo effetto, ebbelo in seguito, poiché uscì un ordine del re in vigore del quale dovea il parlamento abolire la sanzione stessa; dappoi ad istanza dello stesso principe, fu promosso al Cardinalato col titolo di s. Susanna, da Paolo II, nella prima promozione, che fece a Roma li 18 settembre del 1467, con gravissima ripugnanza del Pontefice, attesa la sua condotta morale poco conforme al suo stato; ma il Fumea ambasciatore di Francia spedito a Roma dalla corte di Parigi a tale uopo, procurò di persuadere il Pontefice, che quanto diceasi del Balve era invenzione della invidia più nera, locchè procurò di provare con una falsità, asserendo, che avea udito egli stesso che il Pontefice non dava udienza ad alcuno, o almeno assai difficilmente, quando una felice esperienza aveagli dimostrato il contrario; perlocchè il Papa rimase ingannato da una eloquenza tanto seducente. Difatti il Balve appena fu Cardinale spiegò quel superbio e borioso carattere, onde, appassionato assai per la guerra, non avea difficoltà di recarsi colle armi divise alla rassegna delle truppe, locchè diede motivo a Chabannes, conte di Dammertino, di domandare al re permissione di ordinar sacerdoti, del che meravigliando il re, soggiunse il conte: come non converrà a me ordinar ecclesiastici, se conviene al vescovo di Evreux rassegnare l’esercito? Egli abusò del grado della autorità, di cui godeva presso al monarca, a secondo tale di incrudelire barbaramente contro quelli, che credeva non conformi al suo modo di pensare, fra i quali, come dice il Maan, fece condannare alla morte ingiustamente Giovanni conte di Melun, cui accusò al re di peculato, benchè da lui dovesse riconoscere il suo esaltamento ed il principio delle sue fortune. Riferiscono i Sammartani nella Gallia cristiana, che mentre una notte per Parigi cavalcava una mula in abito Cardinalizio, sia stato assalito da alcuni armati di bastoni e coltelli per cui ne riportò una grave ferita. Ma ciò, che lo fece tracollare, furono alcune lettere intercette, cui avea egli scritto nel 1468, al duca di Berry Carlo fratello del re Cristianissimo, esortandolo a dispetto del monarca fratello a continuare l’introdotta corrispondenza col duca di Borgogna, per timore che venendo alla corte del fratello non si diminuisse la sua autorità, dacchè scopriva, ch’era il re poco sensibile all’amicizia, e che si sarebbe mantenuto nella grazia di lui, finchè ne avesse abbisognato, nel che non andava gran fatto lungi dal vero. Persuase il duca di Borgogna a non pacificarsi col re, anzi a muovergli guerra, ammonendolo che altrimenti verrebbe intimata a lui. Per meglio riuscire in questa tramasi collegò con Guglielmo di Harancourt vescovo di Verdun, uomo di simile carattere. A tale uopo spedirono un messo al duca di Berry e di Borgogna con lettere in cifra per persuaderlo a non comporre mai la pace, che veniagli progettata dal re fratello. Se non che portò l’accidente che il messo fosse arrestato a Dlaia nel territorio di Duma, e scoperti i fogli ed esaminato il messo, confessò il fatto; perlochè il re chiamato il Cardinale ed il vescovo e rinfacciata la loro perfidia nerissima, li fece incarcerare il primo a Moabaron, poi ad Onzain, da ultimo a Loches nella Turenna; il vescovo poi a Katto-chatel, indi alla Bastiglia dove fu ritenuto per quattordici, ovvero per quindici anni; il Cardinale poi fu chiuso in una gabbia di ferro per undici anni, della quale credesi inventore il suddetto vescovo di Verdun, o più probabilmente lo stesso Balve, benchè alcuni non ne siano al tutto persuasi. Poiché il Papiense scrittore contemporaneo asserisce, che la dignità Cardinalizia fu causa al Balve, ch’egli fosse rinchiuso in un carcere molto ristretto ed incomodo. Al parere del Papiense soscrive anche il Fleury, parlando a lungo di simile faccenda. Da questi scrittori sembra che si possa sicuramente dedurre, che il Balve non fu rinchiuso nella gabbia di ferro, ma al più vi fu il vescovo di Verdun. Fece pertanto il re cristianissimo trattare a Roma la causa del Balve, e la Santa Sede spedì in Francia alcuni soggetti di gran conto per decidere l’affare. E’ assai poco appoggiata l’asserzione del Ciacconio, che dice come il Balve sia stato liberato dal carcere ad istanza del Pontefice Sisto IV, mentre dall’orazione recitata nei funerali di Giulio II da Tommaso Fedro Inghirami, si raccoglie che alla mediazione di Giulio II nella legazione che sostenne in Francia in qualità di Cardinale, devesi la libertà ottenuta dal Balve, al quale oggetto eransi impegnati i Pontefici romani, e presso che tutti i regnanti di Europa, ma sempre inutilmente. Del pari s’ingannò l’Ughellio dicendo, che il Balve da Innocenzo VIII fu trasferito dalla sede di Albano a quella di Palestrina colla legazione della Marca, poiché dall’epitaffio posto alla sua tomba risulta, ch’egli morì vescovo albanese. Dopo la morte di Luigi XI al Balve riuscì di far ritorno in Francia col carattere di legato, che fu colà mandato, il che non si sa comprendere, meno che avesse cambiato la sua condotta, per ritornare in fiore la disciplina ecclesiastica che avea deperito di molto in quel regno. Ebbe dappoi la protettoria de’ cavalieri di Rodi, la custodia di Zizimo fratello di Baiazette imperatore de’ turchi colla rendita di dodicimila scudi, assegnatigli da Sisto IV. Finalmente settuagenario morì in Ripatransone nel 1491 dopo ventitre, ovvero ventisei anni di Cardinalato. L’Alby per errore scrive che sia morto nel 1499, ed il Suaresio per errore di stampa nel 1491. Trasferito poi a Roma fu sepolto nella chiesa di s. Prassede con un onorevole epitaffio del Cardinal Antoniotto Pallavicini. Conviene leggere con molta cautela il Cardinale Papiense, che descrive i fatti del Balve, perché la poco soddisfacente dipintura, che fa di esso può essere derivata o dall’avversione concepita a causa della sua ambizione, o per la naturale antipatia che avea verso la persona di lui.

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